sigyn_halja (
sigyn_halja) wrote2014-04-04 05:54 pm
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Doctor Who: Then I'll be sure to meet you - Ten/Master
Titolo: Then I'll be sure to meet you at the exit of the world
Fandom: Doctor Who
Personaggi: Simm!Master, Ten
Pairing: Ten/Master, un vaghissimo hint Master/Lucy
Genere: Introspettivo, fluff (?)
Warning: slash (o pre-slash, boh), what if, è la prima volta che scrivo su questo pairing e penso che mi sia pure venuto OOC
Introduzione: In cui il Master diventa un companion, il TARDIS è geloso e Ten deve sopportare entrambi.
NdA: scritta per il mio prompt meme, per il prompt di
dio_niso : Ten/Simm!Master: AU - What if?, Il Maestro non muore ed il Dottore lo costringe a diventare il suo nuovo compagno di viaggio :D. Fix-it fic per The Last Of The Time Lords. Il titolo è le citazioni vengono da Exterminate Regenerate dei Chamaleon Circuit - che è sul rapporto del Dottore con i Dalek, d'accordo, ma è così slashosa e mi ispira tanto tanto Ten/Master.
Then I'll be sure to meet you at the exit of the world
Basta che gli dia una mano. Letteralmente. Davvero, è quasi imbarazzante – quasi, perché al momento ne è appena consapevole.
Sa solo che a poco a poco tutto diventa indistinto e opaco, come nascosto da un velo pesante. Il mondo è fatto di ombre inconsistenti e macchie di luce e di colore sbiadito, le voci diventano un mero brusio in sottofondo – rigenerati Dottore lascialo andare rigenerati Dottore ti prego andiamo via c’è un modo no – e il buio si insinua rapido nella coda dell’occhio.
Sa solo che c’è qualcosa che lo sorregge, qualcosa di solido e caldo che lo trascina verso l’alto e poi in avanti. Si sta muovendo, ora.
Qualcosa gli dice che non dovrebbe muoversi, quindi prova a puntare i piedi per terra, a spingere con le mani contro – contro qualsiasi cosa lo tenga in piedi. Anche così, può ancora vedere il pavimento – che una volta era meno scuro e aveva un’aria più solida, ne è certo – scorrere sotto i suoi occhi. Li chiude.
Non li riapre quando sente l’energia attraversare tutto il suo corpo – calore dorato e brutale che trasforma il suo sangue in un fiume di fuoco che gli brucia le vene, e una scossa che trafigge ogni sua cellula e gli punge i cuori, facendoli fremere e sobbalzare e battere battere battere battere – e non è questo il modo in cui dovrebbe dolergli il petto, non con un proiettile conficcato tra le costole.
E poi il battito dei cuori diventa il suono dei tamburi, assordante e irresistibile come la prima volta, tante vite fa, e all’improvviso le tempie pulsano e la nuca è in fiamme. Dietro alle palpebre serrate baluginano lampi d’oro e di porpora.
Apre gli occhi, e il viso del Dottore fluttua nel suo campo visivo, incorniciato da preoccupanti puntini scuri che riescono a dargli la nausea ma non a nascondere quello stupido sorriso alla sua vista. Ecco, forse è proprio quel sorriso a dargli la nausea.
Abbassa lo sguardo, un po’ per non dover guardare l’altro in faccia – per non dover ammettere che alla fine ha vinto lui, anche stavolta – e un po’ perché c’è qualcosa di duro e viscido stretto tra le sue dita, qualcosa che fa scorrere un tepore estraneo e familiare insieme sulla sua pelle.
Sta stringendo la mano del Dottore ma il braccio del Dottore non c’è, questo è evidente. Anche il perché l’altro Signore del Tempo si sia inventato questa trovata gli è subito chiaro. Gli ci vuole un attimo per comprendere il come.
Ha lottato con tutte le sue forze per bloccare la sua energia rigenerativa, per soffocarla e confinarla nel profondo di se stesso, seppellirla oltre i muscoli e i nervi e il sangue – il Dottore ha trovato comunque un modo per riattivarla, per quanto sembri improbabile persino adesso. Non sa come abbia fatto, ma è ovvio che ha usato proprio quella mano, il ricordo di una rigenerazione passata, tutta potere concentrato e instabile, come una stella congelata in attesa di esplodere.
Ѐ un pensiero improvviso che gli fa scoprire i denti e stringere gli occhi: - Metacrisi.
Gli occhi del Dottore sono profondi e colpevoli: - Era l’unico modo.
Il Master scuote la testa – piano, perché gli sembra ancora che sia sul punto di scoppiare, come una supernova. – Potevi lasciarmi morire – ribatte.
Il Dottore rimane in silenzio, ma lo guarda negli occhi in un modo che gli fa quasi venire voglia di distogliere lo sguardo di nuovo.
Continuano a viaggiare nel Vortice, fermandosi solo di tanto in tanto in qualche momento desolato, come l’alba di un nuovo pianeta o la morte di una stella. Nessun umano, almeno per ora, ma è certo che il Dottore non resisterà a lungo. Povero Dottore, sempre così sentimentale – anche se talvolta, tra sé e sé, anche il Master ammette che in fondo quasi gli manca la disperazione vorace e creativa di Utopia, e quella silenziosa e fatale di Lucy. Non si sofferma mai troppo su quei ricordi, lo fa solo a volte per passare il tempo, perché a parte l’occasione esplosione di un Sole non c’è molto altro di interessante. Di certo non ne parlerà mai al Dottore – conoscendolo, potrebbe farsi venire strane idee.
Continuano a viaggiare nel Vortice, e il Master si annoia – almeno sulla Terra c’erano le folle urlanti e la televisione – ed è certo che si annoi anche il Dottore. E così, mentre il Dottore traffica con le leve e i pulsanti del suo TARDIS – e cerca di tenerlo il più lontano possibile dalla sala di controllo, perché a quanto pare alla sua vecchia ragazza non piace averlo intorno, dopo quel piccolo incidente con la Paradox Machine – lui ricorda, e pensa, e si fa domande.
Ci sono momenti in cui, per esempio, non può fare a meno di chiedersi perché.
- Ti sentivi solo, Dottore? O in colpa? – gli chiede una volta, sorridendo.
Il Dottore lo fissa con la fronte aggrottata. – No – dice, e il Master in tutta risposta ride al tono solenne di quella bugia così ridicola.
Li ha fatti bruciare, li ha uccisi con quelle stesse mani che rovesciano tiranni, salvano civiltà sull’orlo del baratro e raccolgono ragazzine sperdute all’angolo della strada come gattini randagi. I Dalek, i Signori del Tempo, l’intera Gallifrey – secoli di grandezza ridotti in cenere, la loro guerra infinita conclusa dall’intervento un solo Signore del Tempo. Il Master può quasi dire di ammirarlo un po’.
Ma poi il Master smette di pensarci, perché il Dottore sorride e non è uno di quei sorrisi entusiasti e arroganti e un po’ folli che stanno così bene sulla bocca di questa sua rigenerazione. Ѐ qualcosa di triste, di lontano.
- Pensi che ti avrei salvato, se fossi stato un altro? Rassilon o uno dei suoi galoppini del Consiglio, o un altro di quei megalomani? – gli chiede, e il Master non risponde e storce la bocca in una smorfia.
Salvato. Dal Dottore. Stava cercando di dimenticare quella parte.
Trovare qualcosa da fare è più facile di quanto si aspetti. Basta tornare alle sane vecchie abitudini.
- Cosa stavi cercando di fare?! – grida il Dottore, gettandosi contro di lui per spingerlo via dai controlli del TARDIS.
Il Master sorride, godendosi la vista della sua espressione sconvolta, le pupille dilatate e le labbra tirate in un riga dura. Si lecca le labbra e avanza di un paio di passi verso di lui, e nota subito che il modo in cui l’altro Signore del Tempo lo fissa cambia appena – solo un piccolo mutamento leggero, ma comunque molto interessante. - La tua fidanzata continua a spostare la mia camera – risponde alla fine.
Il Dottore lancia un paio di occhiate seccate a lui e alla sua nave, poi alza gli occhi al cielo. Ritorna a guardarlo. - Non hai nemmeno bisogno di un letto – puntualizza.
- Mi piace averne uno. Morbido ma non troppo, preferibilmente – ribatte il Master, imbronciandosi.
Quella notte – anche se sono ancora in viaggio e non si trovano sempre d’accordo sulla definizione di notte – il Dottore rimane nella sala di controllo, probabilmente ad accarezzare il suo TARDIS … o baciarlo, o fargli una tazza di tè caldo, o qualsiasi altra cosa facciano quei due insieme.
La camera del Master rimane lì dove lui l’ha lasciata. Il letto è finito nella piscina.
Altre volte, non ha voglia di fare nulla. Nemmeno di dirottare il TARDIS nel mezzo di una guerra civile, giusto per vedere come se la caverebbe il Dottore.
Una volta, il Master è seduto all’ingresso del TARDIS, la porta aperta e le gambe che ciondolano pigramente nel vuoto. Osserva le stelle e le nebulose oltre gli schermi protettivi, l’oscurità fredda punteggiata di bagliori incandescenti e lontani. E pensa.
- Ricordi … - gli viene in mente di chiedere ad un certo punto, non sa bene perché, mentre il Dottore sonicizza qualche suo nuovo giocattolo alle sue spalle: - Ricordi le proprietà di mio padre, quelle sul Monte Perdizione?
E così cominciano a parlare. Di Gallifrey, per una volta senza risvegliare ricordi troppo sgradevoli. Della Terra, e delle nuove invenzioni di quegli sciocchi, assurdi esseri umani. E, alla fine, anche di altre cose.
Non succede solo una volta. Forse – forse, ma è non è un’opzione molto probabile – si sta abituando a questa vita.
Ci sono ancora molte cose di cui non parlano, comunque. Domande a cui il Dottore non risponde.
- Pensavo di fare un salto sulla Terra – dice il Dottore, sorridendo uno di quei suoi sorrisi troppo larghi e troppo brillanti.
Beh. Se lo aspettava, in fondo. Storce la bocca: - E mi lasci qui?
Il Dottore si volta e comincia ad armeggiare con la console del TARDIS. Impostare la rotta dovrebbe essere una cosa semplice, da fare in tutta tranquillità, ma lui saltella intorno alla console tirando fin troppe leve inutili e schiacciando bottoni a caso.
- Non dire sciocchezze – risponde l’altro, con tono casuale, e se si fermasse per un attimo probabilmente scrollerebbe le spalle: - Non posso certo lasciare voi due da soli insieme, no?
Il Master fissa la sua schiena. Si morde un labbro.
- Perché? -. E, come ogni volta che glielo chiede, non si riferisce solo alla loro piccola escursione.
Il Dottore smette di muovere in ogni direzione quelle sue mani agili, e si volta piano verso di lui. Un paio di falcate rapide ed è davanti a lui. E poi – e il Master fa per arretrare, ma il Dottore è troppo veloce, e le loro fronti si sfiorano appena.
Oh. Ecco perché.
Il Master si scosta bruscamente, e lotta contro un sorriso che minaccia di emergere sulla sua bocca. – Terra, allora. Londra? I Londinesi sono divertenti – dice, e trasforma subito quel sorriso imbarazzante in un ghigno.
- Qualsiasi cosa ti sia appena venuta in mente, non ci provare – minaccia il Dottore puntandogli un dito contro. Anche nei suoi occhi, però, c’è un sorriso.
Fandom: Doctor Who
Personaggi: Simm!Master, Ten
Pairing: Ten/Master, un vaghissimo hint Master/Lucy
Genere: Introspettivo, fluff (?)
Warning: slash (o pre-slash, boh), what if, è la prima volta che scrivo su questo pairing e penso che mi sia pure venuto OOC
Introduzione: In cui il Master diventa un companion, il TARDIS è geloso e Ten deve sopportare entrambi.
NdA: scritta per il mio prompt meme, per il prompt di
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Then I'll be sure to meet you at the exit of the world
And even though we are the same
Why don't you hop into your ship
And leave me burning
Why don't you hop into your ship
And leave me burning
Basta che gli dia una mano. Letteralmente. Davvero, è quasi imbarazzante – quasi, perché al momento ne è appena consapevole.
*
Sa solo che a poco a poco tutto diventa indistinto e opaco, come nascosto da un velo pesante. Il mondo è fatto di ombre inconsistenti e macchie di luce e di colore sbiadito, le voci diventano un mero brusio in sottofondo – rigenerati Dottore lascialo andare rigenerati Dottore ti prego andiamo via c’è un modo no – e il buio si insinua rapido nella coda dell’occhio.
Sa solo che c’è qualcosa che lo sorregge, qualcosa di solido e caldo che lo trascina verso l’alto e poi in avanti. Si sta muovendo, ora.
Qualcosa gli dice che non dovrebbe muoversi, quindi prova a puntare i piedi per terra, a spingere con le mani contro – contro qualsiasi cosa lo tenga in piedi. Anche così, può ancora vedere il pavimento – che una volta era meno scuro e aveva un’aria più solida, ne è certo – scorrere sotto i suoi occhi. Li chiude.
Non li riapre quando sente l’energia attraversare tutto il suo corpo – calore dorato e brutale che trasforma il suo sangue in un fiume di fuoco che gli brucia le vene, e una scossa che trafigge ogni sua cellula e gli punge i cuori, facendoli fremere e sobbalzare e battere battere battere battere – e non è questo il modo in cui dovrebbe dolergli il petto, non con un proiettile conficcato tra le costole.
E poi il battito dei cuori diventa il suono dei tamburi, assordante e irresistibile come la prima volta, tante vite fa, e all’improvviso le tempie pulsano e la nuca è in fiamme. Dietro alle palpebre serrate baluginano lampi d’oro e di porpora.
Apre gli occhi, e il viso del Dottore fluttua nel suo campo visivo, incorniciato da preoccupanti puntini scuri che riescono a dargli la nausea ma non a nascondere quello stupido sorriso alla sua vista. Ecco, forse è proprio quel sorriso a dargli la nausea.
Abbassa lo sguardo, un po’ per non dover guardare l’altro in faccia – per non dover ammettere che alla fine ha vinto lui, anche stavolta – e un po’ perché c’è qualcosa di duro e viscido stretto tra le sue dita, qualcosa che fa scorrere un tepore estraneo e familiare insieme sulla sua pelle.
Sta stringendo la mano del Dottore ma il braccio del Dottore non c’è, questo è evidente. Anche il perché l’altro Signore del Tempo si sia inventato questa trovata gli è subito chiaro. Gli ci vuole un attimo per comprendere il come.
Ha lottato con tutte le sue forze per bloccare la sua energia rigenerativa, per soffocarla e confinarla nel profondo di se stesso, seppellirla oltre i muscoli e i nervi e il sangue – il Dottore ha trovato comunque un modo per riattivarla, per quanto sembri improbabile persino adesso. Non sa come abbia fatto, ma è ovvio che ha usato proprio quella mano, il ricordo di una rigenerazione passata, tutta potere concentrato e instabile, come una stella congelata in attesa di esplodere.
Ѐ un pensiero improvviso che gli fa scoprire i denti e stringere gli occhi: - Metacrisi.
Gli occhi del Dottore sono profondi e colpevoli: - Era l’unico modo.
Il Master scuote la testa – piano, perché gli sembra ancora che sia sul punto di scoppiare, come una supernova. – Potevi lasciarmi morire – ribatte.
Il Dottore rimane in silenzio, ma lo guarda negli occhi in un modo che gli fa quasi venire voglia di distogliere lo sguardo di nuovo.
*
Continuano a viaggiare nel Vortice, fermandosi solo di tanto in tanto in qualche momento desolato, come l’alba di un nuovo pianeta o la morte di una stella. Nessun umano, almeno per ora, ma è certo che il Dottore non resisterà a lungo. Povero Dottore, sempre così sentimentale – anche se talvolta, tra sé e sé, anche il Master ammette che in fondo quasi gli manca la disperazione vorace e creativa di Utopia, e quella silenziosa e fatale di Lucy. Non si sofferma mai troppo su quei ricordi, lo fa solo a volte per passare il tempo, perché a parte l’occasione esplosione di un Sole non c’è molto altro di interessante. Di certo non ne parlerà mai al Dottore – conoscendolo, potrebbe farsi venire strane idee.
Continuano a viaggiare nel Vortice, e il Master si annoia – almeno sulla Terra c’erano le folle urlanti e la televisione – ed è certo che si annoi anche il Dottore. E così, mentre il Dottore traffica con le leve e i pulsanti del suo TARDIS – e cerca di tenerlo il più lontano possibile dalla sala di controllo, perché a quanto pare alla sua vecchia ragazza non piace averlo intorno, dopo quel piccolo incidente con la Paradox Machine – lui ricorda, e pensa, e si fa domande.
Ci sono momenti in cui, per esempio, non può fare a meno di chiedersi perché.
- Ti sentivi solo, Dottore? O in colpa? – gli chiede una volta, sorridendo.
Il Dottore lo fissa con la fronte aggrottata. – No – dice, e il Master in tutta risposta ride al tono solenne di quella bugia così ridicola.
Li ha fatti bruciare, li ha uccisi con quelle stesse mani che rovesciano tiranni, salvano civiltà sull’orlo del baratro e raccolgono ragazzine sperdute all’angolo della strada come gattini randagi. I Dalek, i Signori del Tempo, l’intera Gallifrey – secoli di grandezza ridotti in cenere, la loro guerra infinita conclusa dall’intervento un solo Signore del Tempo. Il Master può quasi dire di ammirarlo un po’.
Ma poi il Master smette di pensarci, perché il Dottore sorride e non è uno di quei sorrisi entusiasti e arroganti e un po’ folli che stanno così bene sulla bocca di questa sua rigenerazione. Ѐ qualcosa di triste, di lontano.
- Pensi che ti avrei salvato, se fossi stato un altro? Rassilon o uno dei suoi galoppini del Consiglio, o un altro di quei megalomani? – gli chiede, e il Master non risponde e storce la bocca in una smorfia.
Salvato. Dal Dottore. Stava cercando di dimenticare quella parte.
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Trovare qualcosa da fare è più facile di quanto si aspetti. Basta tornare alle sane vecchie abitudini.
- Cosa stavi cercando di fare?! – grida il Dottore, gettandosi contro di lui per spingerlo via dai controlli del TARDIS.
Il Master sorride, godendosi la vista della sua espressione sconvolta, le pupille dilatate e le labbra tirate in un riga dura. Si lecca le labbra e avanza di un paio di passi verso di lui, e nota subito che il modo in cui l’altro Signore del Tempo lo fissa cambia appena – solo un piccolo mutamento leggero, ma comunque molto interessante. - La tua fidanzata continua a spostare la mia camera – risponde alla fine.
Il Dottore lancia un paio di occhiate seccate a lui e alla sua nave, poi alza gli occhi al cielo. Ritorna a guardarlo. - Non hai nemmeno bisogno di un letto – puntualizza.
- Mi piace averne uno. Morbido ma non troppo, preferibilmente – ribatte il Master, imbronciandosi.
Quella notte – anche se sono ancora in viaggio e non si trovano sempre d’accordo sulla definizione di notte – il Dottore rimane nella sala di controllo, probabilmente ad accarezzare il suo TARDIS … o baciarlo, o fargli una tazza di tè caldo, o qualsiasi altra cosa facciano quei due insieme.
La camera del Master rimane lì dove lui l’ha lasciata. Il letto è finito nella piscina.
*
Altre volte, non ha voglia di fare nulla. Nemmeno di dirottare il TARDIS nel mezzo di una guerra civile, giusto per vedere come se la caverebbe il Dottore.
Una volta, il Master è seduto all’ingresso del TARDIS, la porta aperta e le gambe che ciondolano pigramente nel vuoto. Osserva le stelle e le nebulose oltre gli schermi protettivi, l’oscurità fredda punteggiata di bagliori incandescenti e lontani. E pensa.
- Ricordi … - gli viene in mente di chiedere ad un certo punto, non sa bene perché, mentre il Dottore sonicizza qualche suo nuovo giocattolo alle sue spalle: - Ricordi le proprietà di mio padre, quelle sul Monte Perdizione?
E così cominciano a parlare. Di Gallifrey, per una volta senza risvegliare ricordi troppo sgradevoli. Della Terra, e delle nuove invenzioni di quegli sciocchi, assurdi esseri umani. E, alla fine, anche di altre cose.
*
Non succede solo una volta. Forse – forse, ma è non è un’opzione molto probabile – si sta abituando a questa vita.
Ci sono ancora molte cose di cui non parlano, comunque. Domande a cui il Dottore non risponde.
*
- Pensavo di fare un salto sulla Terra – dice il Dottore, sorridendo uno di quei suoi sorrisi troppo larghi e troppo brillanti.
Beh. Se lo aspettava, in fondo. Storce la bocca: - E mi lasci qui?
Il Dottore si volta e comincia ad armeggiare con la console del TARDIS. Impostare la rotta dovrebbe essere una cosa semplice, da fare in tutta tranquillità, ma lui saltella intorno alla console tirando fin troppe leve inutili e schiacciando bottoni a caso.
- Non dire sciocchezze – risponde l’altro, con tono casuale, e se si fermasse per un attimo probabilmente scrollerebbe le spalle: - Non posso certo lasciare voi due da soli insieme, no?
Il Master fissa la sua schiena. Si morde un labbro.
- Perché? -. E, come ogni volta che glielo chiede, non si riferisce solo alla loro piccola escursione.
Il Dottore smette di muovere in ogni direzione quelle sue mani agili, e si volta piano verso di lui. Un paio di falcate rapide ed è davanti a lui. E poi – e il Master fa per arretrare, ma il Dottore è troppo veloce, e le loro fronti si sfiorano appena.
Oh. Ecco perché.
Il Master si scosta bruscamente, e lotta contro un sorriso che minaccia di emergere sulla sua bocca. – Terra, allora. Londra? I Londinesi sono divertenti – dice, e trasforma subito quel sorriso imbarazzante in un ghigno.
- Qualsiasi cosa ti sia appena venuta in mente, non ci provare – minaccia il Dottore puntandogli un dito contro. Anche nei suoi occhi, però, c’è un sorriso.
And even though we aren't the same
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And we can settle this
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